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È il Marsicano il tetto del Parco

di Antonio Carfagnini

Scanno ha un territorio amplissimo: ben 13440 ettari, pari a 134,4 chilometri quadrati. Una volta il nostro paese era il più esteso della Provincia, oggi è al secondo posto, dopo che il comune dell’Aquila, un’ottantina di anni fa, inglobò alcune municipalità contermini (anche importanti, come Paganica e Arischia) per superare demograficamente Pescara ed imporsi quale capoluogo regionale.

Il territorio Scannese, inoltre, ha un’ulteriore rilevante “virtù”, quella del cospicuo numero di cime che superano i 2000 metri, la quota critica per le nostre montagne, oltre cui una vetta appenninica è degna di considerazione e soprattutto è meritevole di ascensione da parte degli escursionisti più fervidi. Fra questi ve n’è uno, Alberto Osti Guerrazzi, particolarmente attento e puntiglioso, tanto da aver salito e censito tutti i 2000 dell’Italia peninsulare. Risale all’anno 2002 l’uscita del volume “I 2000 dell’Appennino”, pubblicato da “Il Lupo” edizioni, in cui Osti Guerrazzi elenca tutte le vette appenniniche che superano la “fatidica” quota, con la descrizione dei percorsi di avvicinamento, delle vie normali, dei “piaceri”offerti dalle escursioni. Secondo Osti Guerrazzi in Appennino sono 223 le cime “indipendenti” over 2000, di cui ben 14 in territorio di Scanno e cioè:

  1. monte Genzana (2170 m.);
  2. monte Rognone (2089 m.);
  3. la Terratta (2208 m.);
  4. anticima sud della Terratta (2136 m.);
  5. serra della Terratta (2122 m.), vetta posta a circa 1 chilometro a sud del valico del Carapale;
  6. le due cime della serra del Carapale (2106 e 2086 m.);
  7. serra del Campitello (2026 m.);
  8. monte del Campitello (2014 m.);
  9. monte della Corte (2182 m.);
  10. monte Marsicano (2245 m.);
  11. anticima nord del Marsicano (2217 m.);
  12. monte Ninna (2220 m.);
  13. monte Godi (2011 m.);
  14. serra Rocca Chiarano (2262 m., la parte scannese raggiunge i 2240 m.).

Osti Guerrazzi individua le cime “indipendenti” seguendo il criterio “estetico-morfologico”, secondo cui una montagna è tale se “quando la si osserva da vari versanti essa appare come un’entità unica”. Così è, ad esempio, per il monte della Corte, che pur appartenendo al gruppo del Marsicano, va considerato a sé stante perché morfologicamente “autonomo”; stesso discorso per la cima est della serra del Carapale, poco più di un cocuzzolo, ma degna di essere considerata vetta indipendente perché caratterizzata da un corpo distinto, tanto da imperare, maestosa, sul Lago.Sfogliando le pagine de “I 2000 dell’Appennino” si nota però che Osti Guerrazzi è vittima di una svista clamorosa, almeno agli occhi degli appassionati di cartografia: sarebbe il Petroso il monte più alto del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Questo errore, a dire il vero, è comune a molte guide sulle montagne dell’Abruzzo interno e sul Parco: tutte indicano nei 2249 metri del Petroso, la splendida cima rocciosa che si erge a sud della Camosciara, in comune di Barrea, come la massima elevazione dell’area protetta. Ma le cose stanno diversamente: il tetto del Parco infatti è il Marsicano, che in una vetta diversa da quella “ufficiale” raggiunge i 2253 o i 2257 metri. La vera cima del Marsicano si trova esattamente un chilometro più ad est rispetto alla “ufficiale”, che tocca “solo” i 2245 metri, fra i comuni di Scanno ed Opi, sulla sommità della bella parete rocciosa che precipita sulla valle Orsara. Secondo la carta I.G.M. (in scala 1:25000) la vetta raggiunge i 2253 m. in un punto, in un altro vicino tocca quota 2252; secondo l’ortofotocarta (scala 1:10.000) il primo punto raggiunge i 2256 metri, il secondo  2257.

 
 

I.G.M. e ortofotocarta concordano nell’indicare quale sia la vera vetta della montagna, sebbene differisca lievemente la quota effettiva; la “orto” dovrebbe essere più attendibile, anche se commette il grossolano errore di indicare la vetta di 2257 metri (VEDI FOTO:::) come monte Ninna (che si trova, inconfondibile, 700 metri più a nord-est). La vera cima del Marsicano in realtà non ha un nome convenzionale, né le è mai stato attribuito un toponimo locale. Tutte le altre cime del massiccio, più basse e meno suggestive, hanno un nome, un cippo (o una croce metallica, come nel caso del Pizzo Calanga) e sono state regolarmente “censite” da Osti Guerrazzi.    

Oltre ad essere più alta, la vera vetta del Marsicano è anche di gran lunga più bella dell’“ufficiale”, che è semplicemente la massima ed anonima elevazione di una lunga dorsale.

Il motivo per cui si scelse di porre il cippo sul colle di 2245 metri, è ignoto. Anche ad occhio, d’altronde, si nota (da qualsiasi punto di osservazione) che la vera vetta è parecchio più elevata (8 o 12 metri in Appennino non sono pochi!). Che i cartografi del tempo abbiano voluto “favorire” il barreano Petroso, “elevandolo” forzatamente a cima più alta del Parco, è un’ipotesi solo scherzosa, perché il Marsicano è stato incluso nell’area protetta solo nel 1975 e soprattutto perché l’attendibilità delle carte viene prima del bizzarro campanilismo. È davvero strano però che si scelga come cima di una montagna una vetta più brutta e più bassa di quella reale. Si finisce anche col trarre in inganno gli escursionisti che la salgono convinti di raggiungere la massima elevazione del massiccio.

Il “paradosso del Marsicano” non è il solo della cartografia montana, ma è senz’altro fra i più eclatanti. Un caso simile, ad esempio, riguarda la Montagna Grande, la cui cima ufficiale è convenzionalmente il monte Argatone (2149 metri), che le carte indicano quale vetta principale del massiccio. Così chi sale sulla montagna Grande, normalmente si reca sull’Argatone. Alla Terratta, che con i suoi 2208 metri è ben più alta, è stranamente attribuita meno importanza. Ma qui, almeno, la vera cima non è innominata!

La questione, insomma, è davvero curiosa. Decidere di “spostare” la vetta convenzionale del Marsicano di 1 chilometro, da quota 2245 a quota 2257 (o 2253), forse è troppo; si farebbe un torto alle migliaia di escursionisti che hanno raggiunto il colle convinti di aver messo piede sul cocuzzolo più alto. Una cosa però si può e si deve fare: occorre attribuire almeno un nome alla vera vetta. Si potrebbe chiamarla, ad esempio, monte Orsara (per il fatto che domina l’omonima valle) o pizzo dei Camosci (perché gli anfratti della sua parete rocciosa sono il rifugio preferito dei camosci della zona). I lettori che hanno qualche idea facciano la loro proposta: ne va della dignità della nostra montagna più importante e della massima elevazione del Parco!       

 
     
  Caro Antonio, complimenti per lo studio che hai fatto. Una cosa veramente interessante. Notevole. Per quanto mi riguarda raccogliendo il tuo invito ad attribuire un nome alla vetta penso che quello più appropriato potrebbe essere "Pizzo dei Camosci".  Nome che ritengo veramente originale. Io direi di raccogliere quante più opinioni possibili attraverso La Piazza e poi inviare il nome "più votato" ai Comuni interessati e al PNALM affinchè a tale cima venga ufficialmente assegnato un nome che potrà diventare di riferimento per tanti amanti della Montagna. Ciao Eustachio  
     
 

 
 

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