(www.lapiazzadiscanno.it)
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Caro Eustachio,
Prima cosa, ti auguriamo un buon onomastico, il giorno S. Eustachio
V.
Secondo, ho letto l'altro giorno sul giornale della Piazza che
qualcuno era alla ricerca d'informazioni di Henry Mancini. Come tu
sai, io sono musicista e ho ricercato nei miei archivi e ho
ritrovato questi due documenti (allegati). Questi file (se ricordo
bene) vengono dal giornale La Foce da molto tempo fa! Se vi possono
aiutare!
E terzo (per finire), ti ringrazio per le informazioni per il DVD
del Dottor Pisello e 80 mo di Don Carmelo, pero, a chi devo
scrivere/mandare i soldi per ottenere questo dvd?
Continuate il buon lavoro sul Giornale della Piazza perché, anche se
noi siamo lontano, siamo molto più vicino che voi pensate seguendo
le vostre favolose rubriche del Giornale della Piazza di Scanno!
Saluti a tutta la Piazza, amici e famigliari di Scanno,
Gino Colarossi |
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Caro Gino, ti ringrazio per la
collaborazione. Per DVD devi chiedere direttamente a D. Di Vitto
utilizzando il seguente indirizzo di posta elettronica. Grazie
Eustachio
domenicodivitto@gmail.com |
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Ha
conquistato Hollywood - Henry Mancini, uno dei nostri
LA STORIA DEL GRANDE COMPOSITORE E LA SUA VISITA A
SCANNO
Ha conquistato Hollywood - Henry Mancini, uno dei nostri
di Ilde Galante
Forse il suo volto non è molto noto ma il suo
nome è associato ai film e ai personaggi più grandi del mondo della
celluloide. Basti un nome per tutti: la Pantera Rosa, quel simpatico
personaggio dei cartoni che è diventato un tutt'uno con la musica
che lo accompagna. E l'autore di quella musica e di tantissime altre
parimenti famose è Henry Mancini. Il suo co¬gnome ci fa subito
pensare all'Italia ma indagando bene si scopre che Mancini è
originario di Scanno.
«Mio padre era un individualista. Era nato a Scanno, una cittadina
degli Abruzzi, a NordEst di Roma, sulle montagne». Così Henry
Mancini comincia a raccontare la sua storia nella biografia "Did
they mention thè music?" scritta insieme a Gene Lees e pubblicata
nel 1989 dalla Contemporany Books di New York. Sempre a proposito di
suo padre continua: «Si chiamava Quinto (perché era il quinto figlio
della famiglia). Alcuni suoi fratelli divennero professionisti in
Italia, ma io non ne ho incontrato nessuno. Da quanto ho potuto
capire, era stato mandato a vivere da un suo zio per qualche tempo.
Quando aveva dodici o tredici anni decise di emigrare. Mi sono rotto
il capo per molti anni per capire il perché di quella decisione e
come fece a scendere dalle montagne, e sto parlando di grandi
montagne, giù a Roma e di qui a Na¬poli per imbarcarsi e quindi
arrivare a Detroit e infine a Boston, dove lavorò in una fabbrica di
calzature. Tutto da solo! Tutto ciò avvenne nel 1910/1911. È
difficile oggi credere che ragazzi di dodici o tredici anni
trovarono la strada da soli dalla Russia, dalla Polonia e
dall'Italia e arrivarono negli stati Uniti senza denaro e
sopravvissero in qualche maniera. Eppure ciò è accaduto. Mio padre è
stato uno di quei ragazzi. Era stato sempre indipendente e in
qualche modo non di stampo italiano. Mentre gli altri genitori
lottavano per inserire i propri figli nelle acciaierie, mio padre
desiderava che io stessi lontano da esse. Gli altri padri italiani a
West Aliquippia erano contenti del loro lavoro e della loro sorte
nella vita e si sarebbero dati pensiero per il fatto che a me dava
lezioni di musica. Lui avrebbe risposto "va bene, vedrete. Voi fate
come vi pare ed anch'io". Era il suo atteggia¬mento. Ci sono stati
molti punti oscuri nella vita di mio padre. D'altra par¬te non
parlava molto. Come cominciò questo ragazzo a suonare il flauto?
Come avvenne che suonava il flauto (e io so che per un po' di tempo
suonò in modo professionale) e finì poi con l'andare a lavorare
nelle acciaierie? Era alto un metro e 65 circa, forte tìsicamente.
Doveva esserlo per forza dal momento che aveva lavorato in una
acciaieria per la maggior parte della vita. Mia madre parlava
inglese correttamente, nonostante parlasse spes¬so in italiano,
essendo cresciuta da piccola in America (era nativa di Pen¬ne n.d.r;)
mente mio padre aveva un leggero accento. Credo che abbia im¬parato
a leggere e a scrivere da autodidatta appena arrivato, così come
aveva imparato a suonare il flauto.
Aveva un vecchio flauto Conn smerigliato con un'imboccatura nera e
due punti di madreperla su entrambi i lati. Deve aver avuto un
potente "ge¬ne" dentro che gli dava quella determinazione artistica.
Nessuno dei suoi fratelli ne era dotato manifestatamen-te. Mio padre
aveva una sorella, Maria e sono riuscito a sapere che aveva sposato
Eustachio Siila (lei morì a Roma nel 1969). Uno dei fratelli di mio
pa¬dre si chiamava Enrico; suppongo che avesse un grande affetto per
lui per darmi lo stesso nome. Enrico morì in Jugoslavia durante la
Prima Guerra Mondiale. Un altro fratello, Luigi, era venuto in
America. Morì in un incidente sul lavoro a Stenbenville, nell'Ohio.
Mio padre però non ebbe mai contatti con la sua famiglia e non ce ne
parlò mai. Neanche del precedente Enrico Mancini che era morto in
Jugoslavia. Tutto ciò era parte del mistero su mio padre. Come aveva
imparato a suonare il flauto e dove? Provo ad immaginarlo seduto in
una stanza che si esercitava. Tutto deve essere avvenuto dopo la
prima guerra, quando Enrico fu ucciso».
Fin qui il racconto in prima persona del protagonista, figlio di
genitori italiani poveri ma grandi lavoratori.
Nel suo libro egli non dice che rimase orfano della madre Anna in
te¬nera età e fu cresciuto da una zia. Suo padre Quinto si risposò,
ma anche la seconda moglie morì. La storia di Henry Mancini è, come
egli stesso ama dire, l'"odissea" di un giovane il cui amore per la
musica cominciò all'età di 12 anni, ascoltando le grandi bande nei
cinema di Pittsburgh. E grazie anche a suo padre il suo sogno di
comporre musiche diventò realtà.
Siamo riusciti a rintracciare la sua unica cugina italiana (almeno
da parte paterna) che ci ha raccontato la "sua" storia e gli
incontri con il cugino famoso. «Io ed Enrico siamo coetanei -inizia
Adele Siila - io sono nata a marzo e lui ad aprile. Suo padre Quinto
e mia madre Maria Rosaria erano fratelli. Poi c'era Enrico che è
morto in guerra. Per tanti anni non abbiamo avuto contatti,
all'improvviso nel 1955 Henry venne a Roma e mi telefonò dicendo che
voleva conoscermi. Ci incontrammo all'Hotel Excelsior, lui era con
sua moglie Ginny alla quale è molto legato, ed io con mio marito
Vincenzo e le mie due figlie Egle e Maria Rosaria. Abbiamo passato
insieme una bellissima serata parlando della famiglia e del nostro
paese. Lo convincemmo così a venire
a Scanno. Quando lui venne, in gran segreto, io
ero a Roma, ma gli avevo dato tutte le indicazioni per riconoscere
la casa paterna, che lui era ansioso di vedere. Si è fermato solo
per poche ore. Ha pranzato al lago ed è subito ripartito, senza dire
niente a nessuno, così come era arrivato. Come suo padre, Henry è
molto riservato e nonostante il successo è rimasto una persona molto
semplice. Tornato in America - continua Adele - mi ha scritto
mandandomi tutti i suoi dischi e una foto con dedica. Dopo tre anni
ci siamo rivisti di nuovo in un albergo a Trinità dei Monti. Anche
se non parlava l'italiano molto bene, capiva perfettamente. Mi
raccontò che era stato a Scanno ma mi disse "Non ci vado più perché
ho paura della strada" - ricorda Adele scoppiando in una risata, poi
torna pensierosa - Da quella volta non ci siamo più rivisti. Mi ha
scritto una sola volta, all'inizio degli anni 60 per dirmi che zio
Quinto, suo padre, era morto e mi ha cercata a Roma ancora nel 68
mentro ero qui a Scanno. Da allora le sole notizie che ho sono
quelle che leggo dai giornali». Poi Adele si ferma un attimo. La sua
mente torna ancora più indietro nel tempo e riaffiorano altri
particolari.
«Ricordo come se fosse un sogno la foto che mia nonna Adelina (madre
di Quinto e nonna di Henry, n.d.r.) teneva sopra al camino. Quel
figlio partito per l'America e mai più tornato, ma soprattutto il
fatto che non scrivesse mai, rappresentava per lei un grande dolore.
Dei figli di Achille Mancini, Henry è l'unico discendente dal
momento che uno dei fratelli, Enrico, è morto in guerra e la sorella
Maria Rosaria, cioè mia madre ha avuto solo me. Nel 1924 anche mio
padre Eustachio partì per l'America ma come clandestino, perché non
c'era lavoro. Una volta arrivato cercò di mettersi in contatto con
il cognato Quinto ma non fu facile. Dopo qualche tempo, una notte
mio zio lo andò a prendere e così mio padre potè restare fino alla
vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Poi tornò in Italia a
prendere anche mia madre, che, come Henry ha ricordato, è morta nel
'69. Io non sono partita con loro perché ero già sposata. Henry si è
fatto veramente da solo - e il suo sguardo si illumina di orgoglio -
grazie alla sua intelligenza e al duro lavoro. A prima vista mette
un po' soggezione, proprio come suo padre, ma il sorriso è dei
Mancini, di mia madre. So bene che è un uomo famoso, pieno di
impegni e di lavoro ma non ho perso la speranza di averlo qui a
Scanno. Per lui e la sua famiglia c'è sempre un posto pronto alla
mia tavola». |
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Henry Mancini:
una vita da film
In
cantiere un progetto per la realizzazione di un premio biennale
intitolato al grande compositore
Henry Mancini: una vita da film
di
Anna Marta Pizzacalla
Sembra la sceneggiatura di
un
grande film. Uno di quelli rappresentati dalla sapienza di Giuseppe
Tornatore o di Emanuele Crialese, che narra di miseria e
emigrazione, di grandi navi, cariche di lacrime e preghiere, che
solcano l’oceano Atlantico verso il sogno americano e la speranza di
una vita migliore. E, nel finale, quel sogno meravigliosamente si
realizza, sotto le stelle più luminose, sulle note – ça va sans dire
– di uno straordinario tema musicale.
E
invece questa è una storia vera.
Ad
emigrare è un giovane scannese; è il 1910, il suo nome è Quinto
Mancini e di lui sappiamo che è poco più che un adolescente, che sta
partendo da Napoli verso gli Stati Uniti per un viaggio con
biglietto di solo andata e che sta portando via con sé uno
straordinario gene musicale. A destinazione troverà Boston e un
impiego in una fabbrica di calzature, poi Cleveland (Ohio) e infine
la Pennsylvania, per un definitivo impiego nelle acciaierie della
città di Aliquippia. In questo suo peregrinare attraverso il Nuovo
Mondo, reca sempre con sé un vecchio flauto Conn, con intarsiature
di madreperla, che ha imparato a suonare sapientemente, non si sa
bene dove, non si sa bene da chi. Dal suo primo matrimonio con Anna,
di cui resterà precocemente vedovo, nasce, nel 1924, il piccolo
Henry, al secolo Enrico Nicola Mancini.
Il
primo grande maestro di Henry sarà proprio il padre Quinto, che
trasmetterà al figlio, ancora bambino, la sua innata passione per la
musica. In pochi anni, il suo talento musicale maturò straordinarie
doti pianistiche e di arrangiamento, tanto da spalancargli le porte
della Julliand, prestigiosa scuola di musica di New York, e poi, nel
1945, gli consentì di entrare a far parte della celeberrima, ormai
mitica, orchestra di Glenn Miller.
E
qui il sogno è appena agli inizi.
La
fama e l’esperienza conquistate con l’orchestra Miller, lo portarono
finalmente agli Universal International Studios di Hollywood. Da
quel momento in poi, Henry Mancini firmò solo grandi successi (tra
gli altri, il tema musicale di “Colazione da Tiffany”, “Giorni di
vino e rose”, la serie della “Pantera Rosa” e di “Peter Gunn”), che
gli valsero 4 premi Oscar (le nomination dell’Academy Awards furono
però ben 18), 7 dischi d’oro e 20 Grammy Awards. Lavorò con i più
grandi del firmamento di Hollywood: Debbie Reynolds, Charlton Heston,
Audrey Hepburn, Orson Welles, solo per citarne qualcuno, e mentre le
sue musiche diventavano la colonna sonora di un’epoca, il sogno
americano diventava realtà.
Alla memoria di questo straordinario compositore, si pensa ora di
intitolare un premio internazionale da tenere a Scanno con cadenza
biennale, su un’idea lanciata già qualche anno fa dal Sindaco Angelo
Cetrone. Si registra al riguardo la dichiarazione del Presidente
della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, che ha indicato Scanno
“quale luogo ideale per la sede del premio perché da esso ha origine
la famiglia dell’artista, […] nell’ambito dell’iniziativa di
promuovere l’immagine dell’Abruzzo anche attraverso la
valorizzazione dell’operato delle sue personalità più illustri”.
Da
parte nostra, non possiamo che auspicare la realizzazione di tale
progetto, perché Scanno ne sarebbe, senza dubbio, la cornice ideale,
come luogo di incontro e promozione di giovani talenti musicali,
autori, scenografi e cineasti, il tutto in ricordo di quel grande
artista che è stato Henry Mancini e in onore di quei giovani
coraggiosi, tanti come il padre Quinto Mancini, che hanno lasciato
questi nostri luoghi, con enorme sacrificio di sé, per inseguire
anche loro il sogno americano, infine raggiungendolo. |
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